Protome 2

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PROTOME II

È un’inedita interpretazione che la Natura, con la sua prodigiosa fantasia, ci propone. D’impatto coglie impreparati e risulta difficile leggerla ma, inconsciamente, si impone al nostro immaginario ed accende curiosità e desiderio di approfondire.

        È imperiosa ed assoluta, leggera e solida, esprime e tace, e protrude sicura la sua arcaica sfida all’interpretazione. Essa è una   p r o t o m e   che partecipa delle caratteristiche salienti sia di un   m e n h i r   che di quelle di un   d o l m e n   ed affonda le sue radici in un antico mondo di lontananze, di nebbie e di misteri, ed ora si manifesta assumendo un’immagine del tutto particolare.

        Misteriosa ed essenziale essa addita alla nostra conoscenza uno dei tanti modi per far emergere, da una condizione anonima e negletta, quella materialità definita, che l’Olivo aveva occultato e custodito, con riserbo antico e solitario e per un numero lunghissimo di anni. Ed è singolare e coinvolgente insieme cogliere l’accostamento e l’impalpabile simbiosi del parallelismo che scaturisce, in corso d’opera, fra la continua modificazione della materia e lo sviluppo delle idee, costante e avvincente, al fine di realizzare quella che sarà la forma definitiva.

        Materia e mente, in un rispettoso assetto corale, si fondono nell’opera compiuta mentre, ancora una volta e sempre di più, ci sentiamo colmi di infinito stupore e di tanta gratitudine di fronte alle ricercatezze che il   C r e a t o   ci dispensa: per più di due secoli ha celato un mistero poi un giorno ha guidato la mano e la mente ad estrarre, o forse più correttamente a   l i b e r a r e   da un’esistenza anonima quella materialità che era    i n   f i e r i   e serbata con segretezza rigorosa e tenace.

        Collocandoci di fronte e partendo dalla base notiamo un vuoto come una caverna che ci richiama alla mente gli antri misteriosi dei primordi, salendo con l’esame appare un’ansa che simboleggia un’ostrica, qui riprodotta con una sola valva, con la cavità aperta e profonda, mentre sulla parte opposta sono evidenziate due figure che partendo dalla base e con un movimento sinuoso, si sviluppano appaiati congiungendosi con la linea di continuità della valva dell’ostrica: sono due molluschi che tendono verso realtà superiori.

        In alto, infine, una figura sovrasta la strutture tutta, ha assunto un aspetto morbido, flessuoso, come se qualcosa di impalpabile vi si fosse adagiata a che, in un istante, sia stata bloccata in quell’atteggiamento non ancora definito, non ultimato. Mentre disperatamente decisa appare la volontà di trascendere la condizione bruta, per assurgere in alto, verso eteree forme di esistenza, difatti le linee guida si innestano dal basso per raccordarsi verso la sommità.

        Ed ecco la chiave di lettura:

        Un’antica leggenda riportata dai   D r u i d i   sacerdoti celtici narra che in un nebuloso e lontano periodo in cui i primordi del mondo erano ancora vaghi ed indefiniti, una graziosa e leggiadra nuvola, fluttuando leggera nell’aria, si abbassò troppo sfiorando la vetta di un alto monte che ospitava un solitario e maestoso   m e n h i r   . Ne scaturì allora un fragoroso nembo di fuoco che, a guisa di ascia colossale, scolpì la struttura, prima informe e rozza, riducendola e assottigliandola, ricavandone una figura snella, possente e aggraziata e, vista di profilo, anche delicata quasi nell’atto di sottomettersi ad una entità superiore. Ma soprattutto, e qui la leggenda attinge una poetica metamorfosi, fu   “u m a n i z z a t a”. E la base conserva, traguardata di profilo, parte della fisionomia di un essere umano in atteggiamento assorto, quasi colto di sorpresa da un evento inatteso.

        Contemporaneamente nacque un travolgente amore: l’eterea nuvola, che involontariamente aveva causato la dirompente azione di ciclopica scultura, se ne innamorò perdutamente per cui vi si adagiò sopra fermamente decisa a sfidare secoli, tempeste e convenienze.

        Ma il seguito è ancor più sorprendente: si è appurato che la nuvola sbarazzina fosse in realtà una seducente ed avvenente   “W a l k y r i a”   che un malaugurato giorno fu insidiata da   “O d i n o”   e che indifferente alle sue profferte amorose osò rifiutarlo ribellandosi ai suoi voleri. Ma Odino furioso si vendicò cacciandola dal   “W a l h a l l a”  trasformandola poi in una nuvola errante.

        Ma ora la nuvola ed il Menhir, divenuto uomo, innamorati senza scampo, si erano trasformati, per sfuggire alle ire di Odino, assumendo l’aspetto di due molluschi, fuoriusciti da un’ostrica gigante, protesi verso l’alto per trovare linfa vitale alla loro passione. Purtroppo il vigile Odino se ne accorse e, ancora vendicativo, li condannò a restare sempre insieme senza mai poter giungere alla meta, avvinti in quel disperato quanto inutile tentativo di evasione, e trasformò tutti in pietra, nuvola compresa, che ora dall’alto continua mestamente a prodigare loro tenerezza riparo e comprensione.

        Qui la leggenda avrebbe termine però affiorano altre notizie, dalla sedimentazione di poetiche interpretazioni, adattate ai nostri giorni e che fanno ancora riferimento ai due sfortunati innamorati. Esse sono per lo più rivolte agli appassionati delle escursioni in montagna i quali percorrendo gli aspri sentieri, spesso si soffermano ad ammirare lo spettacolo maestoso delle vette inondate di sole, ebbene a volte può accadere di scorgere lontano un piccolo luccichio, un farfugliar di luce, un baluginio indistinto e, avendo ancora sufficienti risorse di gambe e di luce, avvicinandosi può scoprire l’origine di quel bagliore misterioso: sono il riverbero di alcuni raggi di sole imprigionati da minuscole cavità madreperlacee di piccole conchiglie incastonature sui dirupi ed i costoni scoscesi.

        Sembra che il furioso Odino, in parte pentito per la drastica punizione inflitta, abbia concesso alla leggiadria Walkyria il dono delle lacrime e che gli abitanti del Walhalla, in un impeto di generosa riparazione collettiva, trasformarono in minuscole iridescenti conchiglie; trova così spiegazione l’invenimento dei gusci di molluschi in zone così lontane dal loro ambiente naturale, il mare.

        Esse sono le lacrime d’amore della bionda Walkyria, vittima insieme al suo Menhir, di un connubio impossibile e sfortunato.

        Ignoro quanto di leggenda e quanto di poesia siano presenti nelle succitate notizie ma è noto che i Druidi abbiano spesso riferito, e con accenti di assoluta sincerità, che i battaglieri popoli nordici, i pugnaci Vichinghi, (stanziati fin dall’alto Medioevo nelle regioni dell’Europa settentrionale, odierne: Norvegia, Svezia, Danimarca), accampati al fuoco dei bivacchi, nelle gelide e interminabili notti invernali, spesso nei loro racconti amavano far sconfinare nella poesia le loro antiche leggende, considerandolo del tutto naturale, forse inconsciamente per conferire un soffuso alone di umanità alle difficili e lontane creature che popolavano il loro mitico   W a l h a l l a.

MMVII

                                                                   Francesco Paolo Danisi

G l o s s a r i o

D o l m e n Voce coniata dagli archeologi con le parole bretoni ‘T (a) ol = tavola e ‘men’ = pietra. Monumento funerario assai diffuso nelle regioni europee, costituito da due lastre di pietra da supporto ed una di copertura.
D r u i d i Dal latino ‘drüidae/arum = casta sacerdotale degli antichi Celti, (con allusione alle misteriose pratiche col vischio quercino; che conosce = Wid – la quercia = dru). La tradizione druidica risale a più di 2000 anni A.C. è un culto iniziatico proprio dei popoli celtici. È sempre viva in Francia ed in Gran Bretagna, continuano a raccogliere vischio, mettono corone alle querce nel mese di agosto ed accendono fuochi nei solstizi di Natale e S. Giovanni. Il Collegio Druidico della Grande Quercia comprende cinque gradi: l’adepto, il lovate, l’embage, il bardo ed il druido.
M e n h i r Monumento preistorico costituito da una sola pietra di notevole lunghezza e di forma per lo più irregolare, infissa verticalmente nel suolo. (dal bretone: Men Hir = pietra lunga).
O d i n o Chiamato anche   W o t a n,   parola germanica che significa:   f u r o r e,   grande dio germanico, figlio di una gigantessa e di un semidio, generato dal Cosmo. Trasporta sulla terra la collera degli dei, è insieme   s c i a m a n o,   guaritore e divinità guerriera, maestro delle   R u n e.
O s t r i c a Rappresenta il grembo femminile, la forma del principio acquatico femminile e della vita cosmica, è il potere lunare delle acque, (la sacralità della luna). Nel cristianesimo rappresenta l’Antico ed il Nuovo Testamento uniti nella Bibbia, che crea perle purissime di verità.
P r o t o m e Nell’arte antica elemento decorativo costituito dalla testa, talora anche una parte del busto, di una figura umana o animalesca o fantastica; (dal greco: pro = davanti, temnein = tagliare).
R u n e Etimologicamente = scrittura segreta; caratteri usati nell’Europa settentrionale, nei primi secoli D.C. cui venivano attribuiti poteri magici. L’insieme dei caratteri costituiva l’alfabeto runico.
W a l k y r i a (dal tedesco Walküre e dall’antico nordico Valkyria; propriamente = colei che sceglie gli uccisi: vair = ucciso, kyrj = colei che sceglie). Ciascuna delle figure mitologiche femminili, che, nella religione degli antichi Germani, accompagnavano gli eroi nel ‘Walhalla’.
W a l h a l l a (dal nordico Valhöl = sala, e Vair = caduto in battaglia), composto di due elementi di area germanica. Nella mitologia nordica luogo in cui dimorano gli eroi morti in battaglia insieme con il loro padre   O d i n o.