Paolo

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Premessa:  Il 5 giugno 2010 Francesco Paolo Danisi, mio padre, si è spento lasciando tutti noi con un dolore ed un vuoto intorno e nei nostri cuori incolmabile, impalpabile ed immenso. Queste “sue” pagine, dedicate alle sue opere, alla sua arte ed al suo amore per la natura ed in particolar modo alle radiche di olivo, voglio lasciarle come erano quando c’era lui, come se fosse ancora con noi, vorrei che fossero pagine al “presente” e non alla “memoria”. Nei nostri cuori ci rimarrà per sempre il suo amore, discreto e silenzioso, a volte timido e tremulo, ma presente e vero. Nei nostri occhi ci rimangono le sue “creature” ed i suoi sorrisi!

Ti voglio bene … don Ciccillo, tanto! E mi manchi tanto, troppo! Grazie di essere stato mio padre!

                                                                                               tuo figlio Mario

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La magia dello scolpire con amore ed umiltà secolari radiche di piante di olivo!

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paoloTutto è iniziato quasi per caso, come accade spesso in questi casi. Da una semplice intuizione, unita ad una profonda curiosità, è nato il primo tentativo. Da iniziale tentativo è divenuto poi vero impegno in quello che, all’inizio neppure immaginavo, era la mia passione, la mia vocazione, la mia vera natura: dare anima e vita alle radiche di olivo.
Proprio a questa nobile pianta, che ci accompagna in questo meraviglioso mondo da decine di secoli, io tributo amore e riconoscenza di vita. Con paziente e certosino lavoro, ogni giorno scopro ciò che ogni pezzo cela segretamente tra venature e nodi. E magicamente ecco che riprendono nuova vita!

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impruneta1Questo a sinistra è l’oliveto dove sono solito andare a raccogliere i miei pezzi di radica o di tronco di olivo da lavorare. 

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impruneta2Qui a destra, invece, la villa del mio amico all’Impruneta (FI) dove, nel parco annesso, vivono gli olivi che nel tempo mi donano la preziosa materia prima per i miei lavori.

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L’olivo

Incipit: tutto è stato originato dal desiderio di rendere omaggio, oserei dire celebrare, il mio amore per la Toscana e quindi anche la mia Terra natìa. Di essa ho serbato ricordi senza tempo, insieme dolci e intensi, poveri ed assoluti, ma tutti permeati e ricchi di un ingrediente particolare: un calore umano, riservato e pudico, che rende ogni gesto se non unico certamente toccante.

Con questo spirito e con negli occhi l’arida assolata bellezza dell’Apulia Felix, che nelle sconfinate distese di oliveti trova la sua espressione più completa, ora desidero introdurvi verso un’operazione ambiziosa strana e difficile insieme: esaltare il Cielo, la Natura e l’Olivo attraverso una appassionata, impegnativa, delicata opera di recupero di trascurati, abbandonati blocchi di legna di olivo, destinati miseramente al fuoco divoratore del camino e, invece, restituire loro vitalità nuova, palpiti inconsueti, continuare l’eterno miracolo della Natura.

Spesso, durante l’opera di recupero, l’amore si scontra con sentimenti contrastanti e con realtà decise, imperative. Devo pulire, togliere, bonificare, smussare ma devo, ogni istante e fino all’ultimo, confrontarmi e scendere a patti con un cumulo di anni da capogiro, spesso oltre i duecento, che hanno drasticamente imposto il loro sigillo all’essenza, per cui attenzione, paura, duttilità, delicatezza e rispetto rappresentano gli ingredienti base per riuscire.

Sin dalle origini del mondo l’Olivo era conosciuto come l’Albero della Vita e sia i suoi frutti che l’olio derivante, che le foglie e l’essenza erano utilizzati in vari modi.

Ma al di là della leggenda e della storia desidero illustrare, per sommi capi, l’opera con la quale riesco a ricavare sculture dalle radici (o tronchi, pochi) di alcuni di quegli olivi che subirono la devastante gelata del 1985 e che quindi furono “scapitozzati”, tagliati in grossi tronconi ed ammassati in cataste, per lo più destinati a finire i loro giorni in secolari camini.

Le cataste di cui sopra hanno subito nel corso degli anni sbalzi termici e l’umore incostante delle stagioni. Al caldo intenso l’essenza si dilatava creando fenditure più o meno profonde che, nei giorni di pioggia battente, si impregnavano di acqua. Le successive arsure ne asciugavano gran parte, ma non tutta, per cui iniziava un lento ma costante ed invasivo processo di carbonificazione e variazioni di morfologia ed ecco quindi formarsi fenditure, fori o piccole caverne, le cui labbra o cavità non si rimarginavano ma creavano bensì una nuova coesione molecolare che, nel corso della lavorazione, va studiata con cura.

Osservati da vicino i vari pezzi risultano anonimi e tristi mentre le sculture ricavate acquistano nuova vita e palpitano di infinite forme e verità. A tal proposito penso anche che la mia prima realizzazione, “IMMANENZA” sia stata profetica, perché mi ha catapultato in un mondo tutto da scoprire, ostico e difficile, ma affascinante come pochi e dove umiltà ed ostinazione si coniugano con amore.

Io sono innamorato del legno ed ancor più di quello dell’Olivo e degli Alberi in genere; a tal uopo penso non vada mai dimenticata una frase di Thomas Mann: “Gli alberi interpretano la muta preghiera che la Terra eleva al Cielo”.

Di quante diverse essenze io son venuto a conoscenza e studiato relative caratteristiche e venature, quelle dell’Olivo mi hanno colpito ed affascinato, soprattutto osservandone e la pianta nel pieno del suo rigoglio e poi altre che sono state abbattute e smembrate per infortuni che sono loro occorsi.

L’Olivo in condizioni normali di esistenza si rivela pianta forte, resistente, parca ma anche orgogliosa ed indipendente. Facendo attenzione alle venature presenti in vari alberi e confrontandole con quelle dell’Olivo vediamo che in quest’ultime obbediscono a regole proprie, dettate da indipendenza ed estrosità e sono il caso e l’umore della pianta a deciderle.

Inoltre durante le varie fasi di lavorazione la pianta attua una serie infinita di stratagemmi per scoraggiare ed indurre ad abbandonare, perché non è mai uniforme ma si presenta ostica, gibbosa, difficile, scabrosa, disseminata di modesti fori in superficie e poi scavando sembrano piccole caverne, e di grandi e piccole fenditure, tutto questo creatosi durante il periodo di “accatastamento”, le radici poi hanno la maligna inclinazione ad inglobare al proprio interno di tutto, sassi di piccole o grandi dimensioni, pezzi di vetro o ferro, blocchi di argilla che il tempo ha reso durissima e, scoperta recentissima, anche gallerie scavate da tarli che a volte assumono proporzioni gigantesche, con un diametro di 8 – 9 mm. Il lavoro quindi consiste inizialmente nello scavare, rimuovere, rimodellare, appianare, eliminare imperfezioni varie, anche lo strato di carbonificazione iniziale, ed i vari strati grigiastri della consistenza della stoppa pressata e l’alburno per giungere, infine alla parte nobile: il durame.

Giunti a questo stadio si entra in fibrillazione perché l’oggetto della nostra cura comincia ad assumere l’aspetto e consistenza di “qualcosa” di non ancora definito ma già intrigante e commovente insieme. È ora che bisogna far ricorso ad una costante, elaborata, attenta opera di ricerca per penetrare quella venatura di ritrosia e di discrezione che avvolge tutto il mondo dell’Olivo, ora occorre scavare nel profondo per evidenziare, sottolineare l’essenziale e cogliere lo stretto legame tra l’uomo e la natura. È ora che un filo sottilissimo di magia insieme ad amore, rispetto, passione ed attento esame del lavoro, ci introdurranno a trovare il titolo più appropriato, la base e la targhetta più significative. Quindi tutto diventa più elaborato e delicato mentre paure e timori ti scavano l’anima, visto che operiamo su essenze che hanno superato i 200 anni di esistenza.

Si procede per il titolo che, per scelta personale, deve constare di un solo sostantivo ma in esso devono essere contenuti gli elementi salienti dell’opera.

La didascalia deve risultare una introduzione e spiegazione, arricchita anche di note storiche, per accostare l’osservatore alla sottile magia dell’Olivo espressa nel lavoro.

La base va scelta con un criterio particolare perché vi deve protudere la scultura in modo da sembrare un suo naturale complemento senza appesantirla o creare uno stacco netto; l’occhio non vi si deve soffermare ma notarla appena come naturale complemento dell’opera che supporta, ma allo stesso tempo deve essere armonica e congeniale.

La tecnica di lavorazione deve risultare il meno invasiva possibile, vanno curate le venature e la loro disposizione e lo sviluppo della scultura va realizzato in altezza, secondo gli antichi ma tuttora attuali canoni della iconografia.

Poiché l’opera è tridimensionale ogni parte va curata con la massima attenzione; da ultimo va tenuto nella massima considerazione che non deve presentarsi statica, immobile ma è necessario che esprima movimento, deve possedere quella fluida tensione, quello scatto larvato che precedono l’azione. Osservandola, anche in modo superficiale, deve contenere elementi tali che naturalmente si venga indotti a scorgervi la necessità di movimento. Anche se immobile deve vibrare di vitalità.

È indispensabile che il tutto risulti levigato, che ogni linea sfoci, si ricolleghi ad un’altra per offrire sempre la sensazione di continuità.

A sgrossamento ultimato la struttura va trattata con varie graniture, decrescenti, di carta vetrata in modo che, da ultimo, non appaiano più tracce di utensile. Finita questa operazione si passa a stendere, in due riprese, un velo sottile di gomma lacca che crea uno strato protettivo per bloccare processi di carbonificazione in atto o in fieri. Si provvede poi a togliere l’eccesso con un passaggio di carta vetrata, la più fine, quella così detta “da carrozziere” e si termina con un paio di passaggi di cera vergine trasparente d’api; con un panno morbido di lana si strofina energicamente e la scultura è pronta per essere collocata sulla sua base cui è stata in precedenza applicata la targhetta con il titolo.

L’opera deve risultare armonica, dispensare un’idea di morbidezza, con le venature in giusto risalto, mentre al tatto si deve avvertire la sensazione di qualcosa di setoso, di vellutato.

Così, come per incanto, da un blocco anonimo di legna da camino, ecco presentarsi una trasformazione che ci ricollega sempre alle tante meraviglie che il Creato ama donarci. Ora l’emozione si impadronisce di me librandosi su regioni incantate dove sogno e realtà si riflettono nelle anime. Ora avverto, profondamente, la suggestiva vena creativa della Natura ed il miracolo infinito del Cielo che assume fogge diverse e nuove, anche partendo dall’ovvio, per ricordarci sempre del divino che alita in noi.

Francesco Paolo Danisi