Tibet libero!

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Il sito della famiglia Danisi condivide gli impegni e le lotte per un Tibet Libero!

Tibet: una breve introduzione

Nel 1950 la Repubblica Popolare Cinese invase il Tibet.
L’invasione e l’occupazione del Tibet costituirono un inequivocabile atto di aggressione e violazione della legge internazionale.
Il Dalai Lama, capo politico e spirituale del Tibet, tentò una pacifica convivenza con i cinesi, ma le mire colonialiste della Cina diventarono sempre più evidenti. La sistematica politica di sinizzazione e sottomissione del popolo tibetano segnò l’inizio della repressione cinese cui si contrappose l’insorgere della resistenza popolare. Il 10 Marzo 1959 il risentimento dei tibetani sfociò in un’aperta rivolta nazionale. L’Esercito di Liberazione Popolare stroncò l’insurrezione con estrema brutalità uccidendo, tra il marzo e l’ottobre di quell’anno, nel solo Tibet centrale, più di 87.000 civili. Il Dalai Lama, seguito da circa 100.000 tibetani, fu costretto a fuggire dal Tibet e chiese asilo politico in India dove fu costituito un governo tibetano in esilio fondato su principi democratici. Attualmente, il numero dei rifugiati supera le 135.000 unità e l’afflusso dei profughi che lasciano il paese per sfuggire alle persecuzioni cinesi non conosce sosta.
In Tibet, a dispetto delle severe punizioni, la resistenza continua.

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Dominio cinese in Tibet

L’occupazione cinese presenta tutte le caratteristiche del dominio coloniale:

– Oltre 1.000.000 Tibetani sono morti a causa dell’occupazione.
– Il 90% del patrimonio artistico e architettonico tibetano, inclusi circa seimila monumenti tra templi, monasteri e stupa, è stato distrutto.
– La Cina ha depredato il Tibet delle sue enormi ricchezze naturali. Lo scarico dei rifiuti nucleari e la massiccia deforestazione hanno danneggiato in modo irreversibile l’ambiente e il fragile ecosistema del paese.
– In Tibet sono di stanza 500.000 soldati della Repubblica Popolare.
– Il massiccio afflusso di immigrati cinesi sta minacciando la sopravvivenza dell’identità tibetana e ha ridotto la popolazione autoctona a una minoranza all’interno del proprio paese. Mentre prosegue la pratica della sterilizzazione e degli aborti forzati delle donne tibetane, la sistematica politica di discriminazione attuata dalle autorità cinesi ha emarginato la popolazione tibetana in tutti i settori, da quello scolastico a quello religioso e lavorativo.
– Lo sviluppo economico in atto in Tibet arreca benefici quasi esclusivamente ai coloni cinesi e non ai Tibetani.

La violazione dei Diritti Umani

Nel 1959, 1961 e 1965, le Nazioni Unite approvarono tre risoluzioni a favore del Tibet in cui si esprimeva preoccupazione circa la violazione dei diritti umani e si chiedeva “la cessazione di tutto ciò che priva il popolo tibetano dei suoi fondamentali diritti umani e delle libertà, incluso il diritto all’autodeterminazione”. A partire dal 1986, numerose risoluzioni del Congresso degli Stati Uniti, del Parlamento Europeo e di molti parlamenti nazionali hanno deplorato la situazione esistente in Tibet e all’interno della stessa Cina ed esortato il governo cinese al rispetto dei diritti umani e delle libertà democratiche. Malgrado gli incessanti appelli della comunità internazionale:

  *  il diritto del popolo tibetano alla libertà di parola è sistematicamente violato.
* Migliaia di tibetani sono tuttora imprigionati, torturati e condannati senza processo. Le condizioni carcerarie sono disumane.
* Le donne tibetane sono costrette a subire involontariamente la sterilizzazione e l’aborto.
* I tibetani sono perseguitati per il loro credo religioso.
* Monaci e monache sono costretti a sottostare a sessioni di rieducazione patriottica, a denunciare il Dalai Lama e a dichiarare obbedienza al Partito comunista.

Sostegno internazionale

Nel corso degli anni il problema tibetano è stato oggetto di una crescente attenzione da parte della comunità internazionale. Il Dalai Lama è stato insignito, nel 1989, del Premio Nobel per la Pace ed è stato ricevuto da molti capi di stato. In diversi paesi si sono costituiti gruppi interparlamentari a favore del Tibet, e in 60 paesi, sono attivi oltre 100 gruppi di sostegno. Gli Stati Uniti, l’Austria, l’Australia e l’Unione Europea a più riprese hanno inviato in Tibet delegazioni parlamentari d’inchiesta. In Italia è nato, nel maggio 2002, l’Intergruppo Parlamentare Italia-Tibet che, all’indomani della sua costituzione, ha presentato una risoluzione sul Tibet approvata a larga maggioranza il 9 ottobre 2002.

Tibet: Amnesty condanna la repressione, subito inchiesta ONU

lunedì, 17 marzo, 2008

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Human Right Watch e Amnesty International e condannano la repressione delle forze di sicurezza cinesi nei confronti dei manifestanti di Lhasa nel Tibet e chiedono alle autorità di Pechino di usare moderazione nella reazione alle manifestazioni e di autorizzare un’inchiesta indipendente dell’Onu sui fatti. “Le autorità cinesi devono permettere lo svolgimento di un’inchiesta indipendente delle Nazioni Unite sugli avvenimenti dell’ultima settimana in Tibet in particolare alla luce del blocco della regione questi ultimi giorni e delle violazioni dei diritti umani in corso da tempo” – riporta un comunicato di Amnesty International.
Anche il Dalai Lama ha chiesto l’avvio di un’inchiesta internazionale. “Per favore indagate da soli, se possibile lo faccia qualche organizzazione rispettata a livello internazionale, indaghi su che cosa è successo, su qual è la situazione e quale la causa. Tutti vogliono sapere, me compreso, chi ha davvero creato questi problemi adesso?” –
 ha detto il Dalai Lama durante l’incontro con la stampa. “Ognuno sa qual è il mio principio, completa non violenza, perché la violenza è quasi come un suicidio” – ha proseguito. “Ma che il governo cinese lo ammetta o no, c’è un problema. Il problema è che l’eredità culturale nazionale è in una fase di serio pericolo. La nazione tibetana, la sua antica cultura muore. Tutti lo sanno. Pechino semplicemente si affida all’uso della forza per simulare la pace, ma è una pace creata con l’uso della forza e il governo del terrore. Un’armonia genuina deve venire dal cuore del popolo, sulla base della fiducia, non della paura”.
In assenza di riscontri indipendenti, i bilanci dei disordini continuano a restare fermi ai 10 morti ‘ufficiali’ forniti dal governo cinese mentre il governo in esilio (a cui si rifanno i manifestanti) oggi ha parlato di 80 morti ammettendo di avere a disposizione “cifre difficilmente verificabili” – riporta l’agenzia Misna. Il 
Governo cinese ha lanciato un ultimatum ai manifestanti affermando che entro lunedì, la protesta deve finire “se non si vogliono conseguenze ancora più gravi” – riporta Asianews. Secondo alcuni testimoni, le strade di Lhasa ieri sono state presidiate da carri armati e blindati. Alcuni battaglioni dell’esercito cinese di liberazione popolare, in tenuta anti-sommossa, hanno circondato le mura dei maggiori monasteri della capitale e secondo Radio Free Asia, diversi monaci sarebbero stati arrestati.
Intanto le proteste sono dilagate oltre Lhasa, nella provincia cinese di Sichuan, al confine con il Tibet e fanno registrare anche in Cina delle vittime. Lo hanno riferito fonti della 
Campagna internazionale per il Tibet e il Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia (Tchrd), che ha sede in India. Almeno sette tibetani sono rimasti uccisi dagli spari della polizia, in seguito alle proteste scoppiate a Sichuan, una delle quattro province cinesi al confine con la regione himalayana del Tibet dove vivono molti tibetani. Gli scontri sono avvenuti nella città di Ngawa, che confina con il Tibet e ha un’ampia comunita tibetana – riporta l’agenzia Agi.
Le proteste sono nate lo scorso 10 marzo, quando centinaia di persone – divenute con il tempo migliaia – hanno manifestato a Lhasa e in altre località del Tibet per commemorare le vittime della sanguinosa repressione del 1959, attuata dal governo comunista contro la popolazione tibetana che chiedeva il ritorno dell’indipendenza. Durante quelle rivolte, il Dalai Lama – leader spirituale del buddismo tibetano – era stato costretto all’esilio. Secondo testimoni oculari riportati da Amnesty, l’11 marzo scorso la polizia cinese ha usato gas lacrimogeni e pungoli elettrici per disperdere 500 manifestanti che stavano chiedendo il rilascio di alcuni monaci arrestati nel corso delle proteste dei giorni precedenti. Lunedì 10 marzo 11 dimostranti, tra cui nove monaci, sono stati brutalmente picchiati e arrestati all’esterno del tempio di Tsuklakhang, nel centro di Lhasa –
 riporta Amnesty. Il gruppo stava manifestando per ricordare il 49° anniversario della fuga del Dalai Lama dal Tibet, dopo il fallimento della sua ribellione contro il dominio cinese. Nelle stesse ore sono stati arrestati una cinquantina di monaci in altre zone della capitale.
“Quello che accade in Tibet è la conferma che la Cina non intende rispettare l’impegno assunto nel 2001″ – ha detto il presidente della sezione italiana di Amnesty International, 
Paolo Pobbiati all’agenzia Agi. “Quello che sta accadendo oggi in Tibet e non solo in Tibet dimostra che è stata una promessa vana e non mette in discussione il fatto che i giochi si svolgano a Pechino, ma la serietà dell’impegno che la Cina ha assunto per migliorare la situazione dei diritti umani”. Amnesty ha chiesto “la cessazione di ogni atto di violenza da parte delle forze cinesi e la liberazione dei dimostranti che manifestavano in maniera pacifica”. [GB]

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Guardate la foto qui a sinistra!!!   (via satellite, from: Britain’s GCHQ, the government communications agency) scattata prima degli scontri e la rivolta di Lhasa.

Pechino orchestrava la rivolta nel Tibet’
Canada Free Press [Venerdì, 21 Marzo, 2008 10:20] spie britanniche confermano la denuncia del Dalai Lama sulle violenze inscenate

di Gordon Thomas

Londra, 20 Marzo – Britain’s GCHQ, l’agenzia governativa delle comunicazioni che controlla elettronicamente mezzo mondo dallo spazio, ha confermato la rivendicazione del Dalai Lama che agenti dell’Esercito Popolare di Liberazione, l’EPL, travestiti da monaci, hanno innescato le rivolte che hanno lasciato dietro di sé centinaia di morti e feriti tibetani.

Gli analisti della GCHQ ritengono che la decisione fosse deliberatamente calcolata dalla leadership di Pechino per fornire una scusa per schiacciare il malcontento che ribolliva nella regione, che sta già attirando la sgradita attenzione del mondo proprio durante la corsa alle Olimpiadi di questa estate.

Per settimane c’è stato un crescente astio a Lhasa, la capitale del Tibet, contro azioni minori compiute dalle autorità cinesi.
I monaci hanno guidato sempre più azioni di disobbedienza civile, chiedendo il diritto di compiere il tradizionale rito d’incensi bruciati. Alle loro richieste si unisce il grido per il ritorno del Dalai Lama, il 14esimo a tenere la massima carica spirituale.

Impegnato ad insegnare i punti fermi della sua autorità morale–pace e compassione–il Dalai Lama aveva 14 anni quando l’Esercito Popolare di Liberazione invase il Tibet nel 1950 e fu costretto a fuggire in India da dove ha condotto senza sosta una campagna contro la durezza del dominio Cinese.
Ma i critici hanno obiettato sulla sua attrazione per le star dei film. Il magnete dei giornali Rupert Murdoch l’ha definito: “un monaco molto politico con scarpe Gucci”
Scoprendo che i suoi sostenitori dentro il Tibet e la Cina sarebbero divenuti ancora più attivi nei mesi precedenti le Olimpiadi di quest’estate, I funzionari della British Intelligence a Pechino hanno compreso che il regime avrebbe cercato una scusa per muoversi e schiacciare l’attuale malcontento.
Questo timore è stato pubblicamente espresso dal Dalai Lama. I satelliti del GCHQ, geo-posizionati nello spazio, erano incaricati di monitorare da vicino la situazione.
Il complesso a forma di ciambella, vicino all’ippodromo di Celtenham, è situato nel piacevole Cotswords ad ovest dell’Inghilterra. Con 700 dipendenti, include i più grandi esperti elettronici e analisti del mondo. Tra diloro si parla più di 150 lingue. A loro disposizione ci sono 10.000 computers, molti dei quali sono stati appositamente costruiti per il loro lavoro.
L’immagine che hanno scaricato dai satelliti ha fornito la conferma che i Cinesi hanno usato agenti provocatori per iniziare le rivolte, cosa che ha dato all’EPL la scusa per muovere su Lhasa e uccidere e ferire durante l’ultima settimana.
Ciò che il regime di Pechino non si aspettava era che le rivolte si sarebbero diffuse, non solo attraverso il Tibet, ma anche nelle province del Sichuan, Quighai e Gansu, trasformando una larga parte della Cina occidentale in una zona di battaglia.
Il Dalai Lama lo ha chiamato “genocidio culturale” e si è offerto di dare le dimissioni come capo delle proteste contro il governo cinese al fine di portare la pace. L’attuale agitazione è cominciata il 10 Marzo, segnando l’anniversario della rivolta del 1959 contro il regime cinese.
Comunque, I suoi seguaci non stanno ascoltando il suo “messaggio di compassione”.
Molti di loro sono giovani, disoccupati ed espropriati di ogni diritto e rifiutano la sua filosofia della non-violenza, credendo che la sola speranza per un cambiamento sia l’azione radicale che stanno portando avanti.
Per Pechino, l’urgente bisogno di trovare una soluzione alla rivolta sta diventando un crescente imbarazzo.
Tra 2 settimane, le celebrazioni nazionali per i Giochi Olimpici inizieranno con la tradizionale accensione della torcia. È previsto che i teodofori passino per il Tibet. Mala torcia potrebbe ritrovarsi ad essere portata dai corridori in mezzo a palazzi e templi in fiamme.
Un segno di questa urgenza è che il primo ministro Cinese ha ora affermato che è pronto ad aprire un dialogo col Dalai Lama. Poco prima di questo annuncio, il primo ministro britannico Gordon Brown ha dichiarato che avrebbe incontrato il Dalai lama durante la sua visita a Londra il prossimo mese. Questa è la prima volta che entrambi i leaders hanno proposto di incontrare il Dalai Lama.

Pechino 2008: Un mondo, Un sogno – Tibet libero
Lhadon Tethong
(tradotto da ery)

 

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