Parenthesis

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parenthesis

PARENTHESIS

–         quanto si interpone nel discorso, interrompendone formalmente la continuità, per lo più a scopo di chiarimento o di precisazione.

(dal greco: parenthesis = inserzione).

[Devoto – Oli]

Parenthesis

Partendo dalla base si nota una specie di calanco incassato fra due braccia, a mò di basi di appoggio, da cui parte in bassorilievo una dolce curva che simula il capo di una colomba dal cui becco si articola un simbolo musical forte per confermare che tutta la scultura vuole interpretare un intenso inno di amore per la vita e la commovente imperscrutabilità della Creazione.

         Continuando nella lettura ci appare, sempre in bassorilievo, il capo rovesciato di un elfo, leggendario, minuscolo abitante dei boschi nordici che ha alimentato tantissime leggende. Esse, anche se già appesantite dalle brume del tempo, continuano a tramandarci racconti che serbano il profumo sottile ed evanescente di antiche fiabe; una di esse narra, con accattivante cura dei particolari, che i mitici elfi vivevano in assoluta simbiosi con l’ambiente circostante, i boschi, risultando invisibili e misteriosi, ma che spesso si divertivano a giocare tiri mancini agli ignari viandanti quando erano sperduti e privi di punti di riferimento. Ma a volte, e qui la leggenda sfiora immagini di poetica credulità, si compenetravano dell’ansia e dello sconforto del pellegrino smarrito, e lo indirizzavano nella giusta direzione.

         Ebbene per farlo assumevano un atteggiamento curioso: si sospendevano a capo in giù, (minuscoli come erano), al ramo di un albero vicino; per collocarsi all’altezza del volto del viaggiatore in crisi e, grazie ad un misterioso processo di induzione rivelavano la via giusta. Nella scultura il capo risulta ben visibile in entrambe le posizioni.

         Misteri e leggende hanno sempre riempito gli angoli bui degli animi semplici.

         Elevando, di poco, l’esame si nota una specie di crinale che ospita alcune piastre concave, simbolo di quell’armatura che usavano gli antichi romani per comporre la gloriosa “lorica”, accanto si vede lo sviluppo apicale di un calamo genere di piccole palme che nella parte opposta accoglie alcune spire di un grosso rettile, mentre il tutto è sormontato dall’aggressivo rostro di un oritte, coleottero di grosse dimensioni i cui maschi si adornano di un vistoso e ricurvo corno cefalico, (rostro), esso è noto anche sotto il nome di “scarabeo rinoceronte”.

         La mitologia e le leggende relative ai serpenti sono quanto mai varie e doviziose; ne elenco alcune:

         il serpente è un aspetto della divinità Cananea “Bel” mentre posto su un palo era simbolo di guarigione a Canaan e nella terra dei Filistei. Il dio frigio “Sabazio” ha come attributo principale un serpente che compare sulla mano votiva; nel culto la sua sacerdotessa portava un serpente d’oro che si faceva scivolare dal petto attraverso le vesti per rappresentare il “dio del seno”.

         Il simbolo del serpente è fondamentale nelle società agricole, in quanto esprime la fertilità della terra e, con la muta, il rinnovamento della vita. Il serpente ricompare ancora come emblema della “Grande Madre”, la celtica Bride, in onore della quale si celebrava una festa in cui si adorava la dea serpente, divinità che in seguito è stata assimilata dal cristianesimo col nome di santa Brigida.

         Nell’antico Egitto lo scarabeo era usato come simbolo solare ed era anche l’immagine del “Potere Creativo” ed era associato con Khepera, il dio sole che sorge ogni giorno. Era uno degli amuleti più comuni che si seppelliva insieme al defunto, mentre nel Congo diventa lunare, ma resta un simbolo di rinnovamento eterno. Sono stati ritrovati degli scarabei sui sigilli di ebrei palestinesi vissuti in epoca precristiana.

         Sul lato posteriore, sotto le spire, ofidiche, sono evidenti due cornucopie, l’una poco appariscente, l’altra più marcata, ma entrambe con le estremità inferiori che hanno origine dalla nota musicale, come emanazioni aeree, ed obbediscono anche loro, (notoriamente simboli di abbondanza, di doni, di opimi raccolti) ad elevare un silente appassionato inno alla Natura.

         In fondo campeggia l’immagine di un mascherone con le deformi fattezze di un fauno; esso era in uso specie nell’età rinascimentale e barocca ma se ne annoverano anche di più remoti, come ornamento architettonico di fontane, vasche e simili. Nella scultura in esame ha acquisito un aspetto enigmatico cui gli anni, l’umore dell’olivo e l’estro della Natura hanno conferito una espressività sconcertante e arcana, concentra infatti: mistero, sacralità e lontana saggezza. La sua figura di fauno, antica divinità agreste protettrice di campi e boschi, è stata testimone del susseguirsi di infiniti anni, e dell’inclemenza delle stagioni che hanno apportato modifiche al suo aspetto: un’orbita quasi inesistente e chiusa dal dilavamento delle piogge mentre l’altra reca un vuoto profondo, il naso scomparso al pari delle labbra presentando il tutto un vuoto asimmetrico.

         La sua visione richiama alla memoria, nostalgicamente, quella di un minuscolo, prezioso, borgo nordico arroccato su di un’altura impervia che nel tempo ne ha difeso la sua identità culturale serbandone intatti usi e leggende, famoso soprattutto per la sua attrazione più poetica: una fontana in pietra quasi l’antenata di quella nella scultura. Antica come il mondo. Ornata di un grande mascherone che dispensava, dalla sua bocca, un’acqua cristallina trasparente e leggera come un alito di primavera, ma, anche qui, gli anni e le avversità atmosferiche avevano creato curiosi sedimenti di concrezioni calcaree o asportato parte del viso, mentre una sua cavità orbitale risultava vuota e profonda.

         Questo piccolo, miracoloso ricettacolo era solito ospitare al suo interno minuscoli messaggi d’amore di creature timide e inesperte che gli affidavano le loro pene ed i loro sogni. E dalla notte dei tempi leggenda e credenze popolari hanno continuato nella loro versione: quella fontana, antica come il mondo, seguitava imperterrita a promuovere continui incontri di anime gemelle che poi lì, sul posto, suggellavano il loro sogno d’amore. E si vuole che in tutto ciò fosse anche complice, (non si sa quanto volontario o meno), un usignolo assiduo che, poco distante soleva dedicare alle stelle, talora così basse d’aver la sensazione di toccarle, le sue melodie ed i suoi gorgheggi, così struggenti che trapassavano il cuore.

         Allora, e tutti erano concordi nell’affermarlo, in quegli istanti, mano nella mano, si avvertiva il tempo partecipe  e immobile mentre dolcezza, malinconia e tenerezza aleggiavano intorno per disegnare momenti felici. Unici. Irripetibili.

         Sempre poesia e leggenda hanno condiviso i passi dell’umanità.

         La tipologia della scultura evidenzia la gradualità della simbologia che si sprigiona dal basso verso la ricerca di una forma catartica superiore principalmente incentrata sul fluttuare delle estremità del segnale musicale che si snoda e si concretizza nelle cornucopie e nelle innervate linee ascendenti di tutte le immagini che, insieme, danno corposità ad una elevazione spirituale che qui viene tradotta in una coraggiosa parentesi che si innesta fra la gretta banalità della nostra vita e la sua costante ricerca di forme superiori di conoscenza e, quindi, di elevazione.

         Nella scultura vive, esplode quasi, ammaliante e scoordinato, ma intenso e semplice, l’entusiasmo per la vita e per il respiro potente e sereno del Cosmo che si riconosce anche, se non soprattutto, nei piccoli insignificanti episodi che intersecano il nostro cammino.

         I vari aspetti della realtà che ci circonda interpretano le ultime sofferte manifestazioni che la Natura ha escogitato per dialogare con la nostra anima e penetrare nell’ottusa opacità della nostra creta e aiutarci a riscoprire l’intensità dei gesti semplici e colmi, la parca sobrietà delle nostre radici, la profondità dei sentimenti che danno luce alla nostra anima e farci scorgere le bellezze del Creato, presenti ovunque.

MMVI

Francesco Paolo Danisi

Look to the heaven and see